Tumore al seno, la chirurgia riduce il rischio di recidiva nelle donne mutate. Ecco di quanto.
di Tiziana Moriconi
Uno studio a guida italiana ha stimato per le pazienti under 40 con mutazioni Brca che si sottopongono alla rimozione del seno sano o delle ovaie.
Tra gli studi presentati nella prima sessione plenaria del congresso americano dedicato al tumore al seno, il San Antonio Breast Cancer Symposium, c’è n’è uno che riguarda la chirurgia preventiva: quella che viene eseguita in chi, per cause genetiche, è a rischio di ammalarsi – o di riammalarsi – di tumore al seno e alle ovaie. Si tratta di uno studio internazionale che ha coinvolto oltre 5 mila pazienti Brca-mutate di 33 paesi che hanno ricevuto la diagnosi di carcinoma mammario entro i 40 anni. L’analisi è stata coordinata dall’italiano Matteo Lambertini, professore associato di Oncologia medica presso l’Università di Genova-Irccs Policlinico San Martino.
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L’Osservatorio dei percorsi ad alto rischio
Gli interventi profilattici e, prima ancora, il counselling onco-genetico e psicologico per le persone Brca mutate sono, rientrano (o dovrebbero rientrare) in quello che in Italia viene chiamato “Percorso per l’alto rischio”, un Pdta articolato per prendere in carico le pazienti mutate e le loro famiglie. Per monitorare quanto siano diffusi sul nostro territorio, l’associazione di pazienti aBRCAdabra ha appena lanciato un’iniziativa ‘dal basso’: quella di un Osservatorio permanente, l’aBRCAdvisor. Alla raccolta dei dati possono contribuire tutti i portatori della mutazione Brca 1 e 2, sani o malati, uomini o donne: per portare la propria esperienza è sufficiente registrarsi sulla piattaforma (che sarà accessibile dal sito e dai social dell’associazione) e compilare un test anonimo che permetterà di raccogliere informazioni e parametri in modo uniforme.
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L’associazione aBRCAdabra prevede di presentare i dati preliminari a novembre 2025, in occasione del suo decennale che si svolgerà a Pavia, al quale è stata invitata anche Mary-Claire King, la prima genetista che negli anni ‘90 intuì l’esistenza di un rischio eredo-familiare in alcuni tumori femminili, e che poi identificò la mutazione del gene Brca .