Risponde il genetista

Esistono due motivi diversi per cui il test BRCA può essere proposto.

Un primo motivo può essere quello di avere un’informazione che è utile all’oncologo per pianificare la terapia di un tumore che è presente in quel momento. In questo caso sarà l’oncologo a proporre il test e solitamente viene fatto prima un test sul tumore perché si è interessati soprattutto a capire come è lo stato dei geni BRCA nel tessuto malato.

Un secondo motivo è quello di capire se la persona ha un rischio aumentato di sviluppare alcuni tipi di tumore in quanto portatrice di un’alterazione ereditaria in uno dei geni BRCA (BRCA1 e BRCA2) per poter avviare percorsi di prevenzione che sono in grado di ridurre le conseguenze di questa situazione. In particolare, il rischio di tumore della mammella e dell’ovaio delle donne portatrici di alterazioni BRCA è alto (circa 70 donne BRCA su 100 sviluppano un tumore della mammella; circa 40 donne BRCA1 su 100 e circa 20 donne BRCA2 su 100 sviluppano un tumore ovarico) e gli studi indicano che le misure di prevenzione che sono disponibili sono efficaci. Anche per gli uomini può essere indicato il test BRCA a scopo di prevenzione in quanto studi più recenti evidenziano un rischio maggiore di tumore della prostata meritevole di percorsi di prevenzione mirati (in via di definizione).  Più in generale, i percorsi di prevenzione proposti possono includere anche altri tumori, specie se ricorrenti in famiglia (es. tumore del pancreas).

Dato che  i tumori sono malattie frequenti in età adulta e quindi quasi ognuno ha casi in famiglia, si accede al test a scopo di prevenzione se questo è ritenuto “appropriato” dopo una valutazione approfondita della storia personale e famigliare di tumore (ad es. esaminando la documentazione medica anche dei casi familiari): occorre infatti capire se la storia oncologica è simile alle storie delle famiglie in cui gli studi scientifici hanno dimostrato che un’alterazione ereditaria BRCA era effettivamente la principale responsabile dei casi di malattia osservati.

Questo è importante perché esistono altre forme di predisposizione ai tumori, quindi altri tipi di test che potrebbero essere più adatti. Inoltre, è importante perché le conoscenze che abbiamo sul significato della presenza di un’alterazione ereditaria BRCA in termini di rischio di malattia che le possiamo attribuire derivano principalmente da studi su famiglie selezionate per la presenza di casi di tumori della mammella e dell’ovaio con caratteristiche che fanno sospettare la presenza di un’alterazione di tipo ereditario (età giovane, più tumori nella stessa persona, più persone dello stesso ramo famigliare e vicine tra di loro per consanguineità – es. genitori, figli, fratelli, zii/e).  Questo è successo perché anche a scopo di ricerca fino a pochi anni fa era difficile condurre studi su ampie popolazioni dati i limiti delle tecnologie di analisi del DNA disponibili in laboratorio. Tuttavia, questo sta cambiando e questo tipo di studi sono realizzabili con le tecnologie attuali.

Anche se oggi abbiamo poche conoscenze sul significato delle alterazioni ereditarie BRCA in persone che non hanno una storia famigliare suggestiva, sappiamo però che queste persone ci sono (si stima che una persona ogni 300 circa sia portatrice di un’alterazione ereditaria BRCA) e che in molte di loro il rischio conferito dall’alterazione BRCA è sufficientemente alto da rendere utile una prevenzione mirata. Man mano che le conoscenze avanzano si stanno quindi “allargando” le situazioni per le quali il test BRCA viene proposto ed è quindi possibile che se in passato il test non è stato proposto lo possa essere adesso o in futuro.

I cosiddetti “criteri di accesso al test” sono una lista di possibili situazioni che sappiamo essere sicuramente meritevoli di approfondimento.  Essi derivano da una scelta che viene fatta in un dato momento dalla comunità medica sulla base delle conoscenze disponibili per cercare di offrire in modo equo il test a chi più ne può beneficiare

 

Secondo le Linee Guida AIOM 2023 (Associazione Italiana di Oncologia Medica), posso accedere al test genetico BRCA tutti coloro che hanno:

Storia personale di :

  • 1) Variante patogenetica nota in un gene predisponente in un familiare
  • 2) Uomo con un carcinoma mammario
  • 3) Donna con carcinoma mammario e carcinoma ovarico
  • 4) Donna con carcinoma mammario  ≥ 40 anni
  • 5) Donna con carcinoma mammario triplo negativo 
  • 6) Donna con carcinoma mammario bilaterale < 50 anni
  • 7) Donna con carcinoma mammario in stadio iniziale a recettori ormonali positivi e  ≥ 4 linfonodi positivi
  • 8) Donna con carcinoma mammario a recettori ormonali positivi con precedente CT neoadiuvante, residuo di malattia e CPS/EG score  ≥ 3
  • 9) Donna con carcinoma mammario metastatico, recettori ormonali positivi /HER2-negativo, già sottoposta a chemioterapia con antracicline/taxani e trattamento endocrino (qualora possibili), in progressione dopo inibitori di CDK 4/6 per la malattia avanzata
  • Storia personale di carcinoma mammario 46-50 anni e familiarità di primo grado* per :
    • – Carcinoma mammario 
    • – Carcinoma ovarico non mucinoso o borderline a qualsiasi età
    • – Carcinoma mammario bilaterale
    • – Carcinoma mammario maschile
    • – Carcinoma del pancreas
    • – Carcinoma della prostata

*Presenza di un familiare di primo grado (genitore, fratello/sorella, figlio/a) con le caratteristiche di malattia specificate. Per il lato paterno della famiglia, considerare anche familiari di secondo grado (nonna, zie)

Nella donna dai 20 ai 24 anni si consiglia visita clinica semestrale/annuale ed ecografia mammaria annuale, mentre dai 25 anni si aggiunge la risonanza magnetica della mammella 1 volta all’anno sfasata di 6 mesi rispetto all’ecografia. Dai 35 anni ai 64 anni si consiglia di aggiungere anche la mammografia annuale, mentre dai 65 in poi solo visita clinica semestrale/annuale e mammografia annuale. Si consiglia inoltre visita ginecologica ed ecografia transvaginale ogni 6 mesi. Nell’uomo si consiglia il dosaggio del PSA annuale dai 45 anni con esplorazione rettale o ecografia transrettale. Colonscopia ogni 2.3 anni dai 45 anni

Per il tumore del pancreas il rischio è pari al 5%, per la prostata è intorno al 10%

Il test genetico per la rilevazione di alterazioni genetiche di tipo ereditario viene effettuato da un semplice prelievo di sangue, non occorre il digiuno.

E’ consigliato effettuare un test genetico presso strutture che assicurino un’adeguata informazione sul suo significato, prima di eseguirlo e quando c’è il risultato. Prima di decidere se eseguire o meno un test genetico la persona deve essere aiutata a comprendere che cosa ci si può aspettare dal test e quali conseguenze potranno derivare dai vari tipi di risultato sia per lei stessa sia per i suoi famigliari. Quando c’è il risultato, la persona deve essere aiutata a comprenderne le conseguenze e ad intraprendere delle azioni che siano utili per lei stessa ed i suoi famigliari.

Il percorso che viene generalmente proposto è un colloquio con un genetista prima di effettuare il test (consulenza genetica pre-test) ed un colloquio per la comunicazione del risultato (consulenza genetica post-test).

La prevenzione è l’insieme delle azioni che sono mirate a ridurre la mortalità, la morbilità o gli effetti dovuti a determinati fattori di rischio o ad una certa patologia, promuovendo la salute e il benessere individuale e collettivo.

La diagnosi precoce è una forma di prevenzione, detta “prevenzione secondaria” perché attraverso la diagnosi di una malattia nelle sue prime fasi, tipicamente quando ancora non si è manifestata con dei sintomi, si possono ridurne gli effetti, prevenendone i più gravi. Si parla invece di “prevenzione primaria” quando si agisce per evitare o ridurre l’insorgere stesso della malattia (es. attraverso comportamenti salutari come evitare il fumo di sigaretta o attraverso la rimozione del tessuto a rischio).  

I programmi di sorveglianza hanno come obiettivo la diagnosi precoce in soggetti senza sintomi. Ad esempio, per quanto riguarda la prevenzione del tumore della mammella, la mammografia e la risonanza magnetica sono esami che consentono la diagnosi precoce di questo tumore ma che non diminuiscono il rischio di ammalarsi. Se eseguiti con regolarità consentono però a molte donne di ridurre le conseguenze più gravi della malattia

I test privati sono sicuri in termini di risultato anche se non vengono rilasciati insieme ad una consulenza post-test che serve a spiegare il risultato ottenuto

La consulenza genetica è una visita specialistica riconosciuta come prestazione dal Servizio Sanitario Nazionale.  Il medico di medicina generale o il medico specialista della vostra Regione potrà prescrivere con le modalità previste a livello regionale la ricetta elettronica che vi consentirà di prenotare la visita presso una struttura pubblica.  

Le impegnative per il test BRCA vengono rilasciate dal medico che ha effettuato la consulenza genetica, dopo che è stato deciso di effettuare il test ed è stato raccolto il consenso informato.

L’impegnativa viene stilata da colui che invia alla consulenza (specialista oncologo, ginecologo, senologo) o MMG (medico di medicina generale); possono esserci differenze regionali.

E’ sempre bene informarsi con la genetica di riferimento per una corretta compilazione dell’impegnativa.

Il test per soggetti affetti da neoplasia è sempre gratuito perché riguarda individui esenti per patologia con codice 048. L’esenzione dei portatori di mutazione si chiama D99 e D97. Questa esenzione è presente in Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia ,Toscana, Sicilia, Veneto, e nella Provincia Autonoma di Trento e Bolzano.

I soggetti sani pagano solo il ticket sanitario della consulenza e se poi risultano mutati diventano esenti D99 e D97, nelle seguenti regioni: Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia ,Toscana, Sicilia, Veneto, e nella Provincia Autonoma di Trento e Bolzano.  Avranno quindi diritto ad effettuare i controlli previsti per la mutazione.

I tempi medi sono di 1-3 mesi a seconda del tipo di esame e dell’utilità clinica che ne deriva. E’ bene chiedere sempre alla struttura specializzata di riferimento conferma delle tempistiche di restituzione dell’esito.

Dalla maggiore età.

In ogni caso, l’età può variare a seconda della storia familiare, ma bisogna comunque avere compiuto i 18 anni.

I gene BRCA1 aumenta di circa il 72% il rischio cumulativo di tumore mammario e del 44% quello di tumore ovarico. Il BRCA2 aumenta il rischio cumulativo del 69% di tumore mammario e del 17% di tumore ovarico. Inoltre avere una mutazione BRCA2 aumenta il rischio di tumore del pancreas, della prostata, di melanomi e di tumore della mammella maschile.

E’ una variante genetica il cui significato clinico è incerto e non può essere utilizzata scopo terapeutico o per la ricerca di soggetti predisposti.

E’ un’analisi genetica che indaga contemporaneamente diversi geni di predisposizione ereditaria oltre ai BRCA.

Esistono percorsi dedicati per la prevenzione dei tumori mammari che prevedono la RM della mammella ogni anno dai 25 anni, mammografia annuale dai 35 anni ed ecografia mammaria semestrale. Per la sorveglianza ovarica fino a chirurgia dosaggio del Ca.125 ed ecografia TV ogni sei mesi

L’intervento di riduzione del rischio ginecologico è rappresentato dall’asportazione preventiva delle ovaie e delle tube di Falloppio. L’età raccomandata dalle linee guida internazionali è tra i 35 e i 40 anni per le portatrici di varianti patogeniche BRCA1 e tra i 40 e i 45 anni per le portatrici di varianti patogeniche BRCA2. La scelta su quale sia l’età ottimale per effettuare l’intervento di riduzione del rischio ginecologico deve tenere conto anche di variabili individuali quali il desiderio riproduttivo della donna e la sua storia familiare.

Per quanto riguarda il tumore mammario, si può effettuare a partire dalla maggiore età, in donne fortemente motivate.

Risponde il ginecologo

L’annessiectomia di riduzione del rischio è un intervento chirurgico che viene eseguito in anestesia generale tramite laparoscopia, una tecnica chirurgica che permette di rimuovere le ovaie e le tube tramite piccole incisioni sulla parete addominale (3-10 mm di diametro) operando con l’ausilio di una telecamera. L’intervento chirurgico ha una durata di circa 40 minuti e la dimissione può avvenire il giorno stesso dell’intervento o il giorno successivo. Il rischio di complicanze intra-operatorie e post-operatorie è basso. In genere la ripresa postoperatoria è molto rapida con un ritorno alle normali attività della vita quotidiana pochi giorni dopo la dimissione. Le conseguenze più importanti di questo tipo di chirurgia sono l’avvento di una menopausa precoce chirurgica (quando eseguito durante la vita fertile) e la perdita della capacità riproduttiva.

Non esistono ad oggi dati conclusivi su un possibile aumento del rischio di neoplasie endometriali legato alla presenza di varianti patogeniche nei geni BRCA1 e 2: gli studi presenti in letteratura fino ad oggi hanno mostrato risultati contrastanti (da nessun aumento del rischio di cancerogenesi endometriale fino ad un rischio 2 o 3 volte superiore rispetto a quello delle donne non portatrici di mutazione). In attesa di dati scientifici più solidi le linee guida nazionali e internazionali al momento non raccomandano l’isterectomia (asportazione dell’utero) nel programma chirurgico di riduzione del rischio ginecologico. Tuttavia è possibile valutare l’isterectomia al momento dell’annessiectomia nell’ambito di una scelta chirurgica personalizzata, soprattutto per donne portatrici di varianti BRCA1 e/o che hanno assunto Tamoxifene e/o con storia familiare positiva per neoplasia endometriale.

In una donna portatrice di variante patogenica BRCA che non ha mai sviluppato neoplasie i sintomi e le conseguenze di salute a medio e lungo termine correlate alla menopausa precoce possono essere controllati mediante l’utilizzo di terapia ormonale sostitutiva fino ad un’età compatibile con una menopausa fisiologica (50 anni circa).

In caso di storia personale di neoplasia mammaria gli effetti collaterali della menopausa precoce possono essere trattati con l’utilizzo di terapie non ormonali farmacologiche e non farmacologiche e l’adozione di stili di vita sani.

La TOS o Terapia Ormonale Sostitutiva consiste nella somministrazione di farmaci con azione simile agli ormoni che vengono normalmente prodotti dalle ovaie durante la vita fertile. La TOS può prevedere la somministrazione per via orale, transdermica o vaginale di solo estrogeni, di combinazioni di estrogeni e progestinici o progesterone, di molecole che hanno un’azione sia estrogenica sia anti-estrogenica a seconda del tessuto in cui agiscono. In generale la TOS è raccomandata in caso di menopausa precoce e/o di sintomi menopausali che impattano negativamente sulla qualità di vita della donna (vampate di calore, irritabilità, insonnia, secchezza vaginale, ecc). Le controindicazioni all’utilizzo della TOS sono rappresentate da trombosi venosa profonda e/o embolia polmonare, infarto, ictus, ipertensione non controllata, disturbi della funzionalità epatica, anamnesi personale di tumore alla mammella o di tumori responsivi agli ormoni

Il tumore ovarico colpisce circa 5200 donne in Italia e più della metà di loro oggi ancora muoiono della malattia. Purtroppo è un tumore per il quale non abbiamo ancora una prevenzione perché i sintomi sono troppo aspecifici e gli studi di screening ci dicono ancora oggi che non riusciamo ad anticipare la diagnosi e purtroppo il più dell’80% dei casi  la malattia  viene diagnosticata al terzo e quarto stadio. Abbiamo scoperto però che circa il 25% dei casi  è collegato alla mutazione  dei geni BRCA1 e BRCA2  e identificare le donne sane oggi  è l’unica vforma di orevenzione primaria che abbiamo sulla malattia che consente di proporre delle strategie di riduzione del rischio demolitive  perché sono rappresentate dall’asportazione delle tube e delle ovaie, ma sono l’unica  possibilità che  abbiamo oggi di prevenire la malattia.

Il rischio di neoplasia mammaria di una donna portatrice di variante patogenetica BRCA che si sottopone a un intervento di annessiectomia profilattica per ridurre il suo rischio di carcinoma ovarico, (non esiste ad oggi un altro modo per ridurre in maniera significativa questo rischio), non viene modificato dall’utilizzo di una terapia ormonale sostitutiva utilizzata fino all’età di una menopausa normale.
Purtroppo il rischio di sviluppare una neoplasia mammaria c’è ed è alto, ma è alto per la mutazione non per la terapia ormonale sostitutiva.
I dati offerti dalla letteratura sono dati vecchi che si riferiscono a terapie ormonali che oggi non utilizziamo più, dove i dosaggi erano molto più alti e i progestinici utilizzati erano diversi.
La paura delle donne e molto spesso dei clinici non è giustificata da alcun dato scientifico.
Rinunciare a questo tipo di terapia penalizza tantissimo la qualità di vita di queste donne e non solo: gli effetti negativi di una menopausa chirurgica precoce determinano tutta una serie di altre problematiche di salute su cui la terapia ormonale può in qualche modo fare invertire la rotta.
Non sussiste nessun motivo valido per il quale una donna sana debba accontentarsi di sopravvivere.

Ad oggi, tutte le linee guida sulla prevenzione del carcinoma ovarico in donne portatrici di mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 prevedono l’intervento chirurgico di asportazione delle tube e delle ovaie entro, rispettivamente, i 40 e i 45 anni. La procedura chirurgica che prevede l’asportazione delle sole tube (salpingectomia) è da considerarsi sperimentale e proponibile solo nell’ambito di trial clinici controllati.

Il trial TUBA II è uno studio internazionale, multicentrico, che valuta l’efficacia preventiva di una procedura chirurgica sperimentale, che consiste nell’asportazione delle sole tube (salpingectomia) e il rinvio dell’asportazione delle ovaie (ovariectomia) entro i 45 anni per le donne portatrici di mutazione del gene BRCA1 e 50 anni per le donne portatrici di mutazione del gene BRCA2. Possono partecipare al trial, scegliendo tra la procedura chirurgica tradizionale e quelle sperimentale, donne portatrici di mutazioni patogenetiche (classe 4 o 5) dei geni BRCA1/2, in premenopausa e che non stiano assumendo terapie antitumorali. I centri attivi in Italia sono attualmente l’IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza (referente prof. Robert Fruscio) e l’IRCCS Policlinico Gemelli di Roma (referente dott.ssa Claudia Marchetti).

Per maggiori informazioni scrivere alla mail: robert.fruscio@unimib.it

La preservazione della fertilità dai potenziali effetti negativi che i trattamenti oncologici possono indurre è un diritto fondamentale di ogni individuo che sviluppa una neoplasia in età riproduttiva. Le opzioni per la preservazione della fertilità femminile sono rappresentate fondamentalmente dalla criopreservazione ovocitaria e dall’utilizzo di farmaci in grado di “fermare” temporaneamente la funzione delle ovaie, rendendo queste ultime meno sensibili all’azione tossica della chemioterapia.

La criopreservazione ovocitaria prevede la stimolazione farmacologica controllata della crescita simultanea di follicoli ovarici e successivo prelievo ovocitario per via transvaginale, sotto guida ecografica con una piccola anestesia.  Le uova vengono quindi congelate e potranno essere utilizzate dalla donna per ricercare la gravidanza, tramite fecondazione in vitro. L’intero percorso di stimolazione e prelievo ovocitario ha una durata di circa 15 giorni ed è oncologicamente sicuro anche per le donne affette da neoplasia mammaria ormonoresponsiva.

Un’altra opzione per preservare la funzione ormonale e riproduttiva delle ovaie in corso di chemioterapia è rappresentata dall’utilizzo di farmaci in grado di “fermare” temporaneamente l’attività ovarica, inducendo uno stato di menopausa farmacologica, che riduce il danno indotto dai farmaci chemioterapici sulla riserva ovarica. Questi farmaci (agonisti del GnRH) vengono somministrati sottoforma di iniezioni intramuscolari 1 volta ogni 28 giorni per tutta la durata della chemioterapia.

 

Un consiglio per tutte le donne è quello di adottare abitudini di vita che siano sane, per esempio il fumo di sigaretta, il sovrappeso e la sedentarietà sono grandi nemici della fertilità.
Per le donne portatrici della variante patogenetica BRCA che hanno già avuto una neoplasia, la tecnica più efficace per preservare la fertilità è il congelamento degli ovociti.
Crioconservare intorno ai 30/35 anni permette di avere una qualità e una quantità ottimale degli ovociti.

 

Risponde il senologo

Le conseguenze della mastectomia profilattica con posizionamento protesico possono essere complicanze quali emorragie, infezioni, necrosi dei capezzoli e/o della pelle, possibile necessità di effettuare più interventi ricostruttivi per un risultato cosmetico ottimale. Conseguenze normali dopo intervento sono dolore postoperatorio e la convalescenza di qualche settimana. Aspetti variabili ma molto delicati sono relativi all’accettazione della nuova immagine corporea, con possibili difficoltà a riconoscere il seno ricostruito parte di sé con possibili ripercussioni sulle emozioni e sul benessere sessuale, e dall’insensibilità del capezzolo. Il tasso di pentimento degli interventi preventivi è comunque estremamente basso.

Un reggiseno sportivo contenitivo va indossato per alcuni mesi, soprattutto di notte, iniziando subito dopo l’intervento secondo le istruzioni del chirurgo

Non esiste una tecnica migliore, ogni intervento è a sè. La chirurgia senologica e la chirurgia ricostruttiva si possono declinare in vario modo.  Esiste un ventaglio di scelte che devono essere adattate alla clinica della persona come la sua anatomia, la forma e il volume del seno nativo, l’età e le abitudini.
Ogni intervento è sartoriale. Alcuni interventi che danno risultati estetici migliori possono non essere applicabili a tutti, interventi programmati in più tempi che richiedono maggiore durata per il tempo ricostruttivo ma che alla fine danno comunque dei buoni risultati. Ci sono le mastectomie conservative dove si può conservare la pelle e anche il capezzolo, è possible l’inserimento immediato della protesi, la DIEP, la ricostruzione in due tempi e l’inserimento della protesi sotto o sopra il muscolo. Ci sono veramente tante possibilità scelte in funzione delle caratteristiche della persona.
E’ consigliato non fare confronti o guardare le foto di interventi di altre donne, si può non avere lo stesso risultato perché ogni persona ha la propria fisicità e per ogni persona deve essere studiata la tecnica migliore

Dipende dal tipo e sede della lesione. Talvolta è possibile effettuare una mastectomia bilaterale con preservazione di cute e areola-capezzolo (nipple-skin sparing), come nelle donne sane con seni di volume medio o piccolo; in altri casi il seno sede di neoplasia condiziona un intervento chirurgico meno conservativo di pelle, areola e capezzolo.

Dipende dalla portata del drenaggio, ovvero la quantità di liquido che fuoriesce nelle 24 ore. Quando diventa molto ridotta i drenaggi possono essere rimossi, anche in tempi differenti. E’ un tempo variabilòe da persona a persona, dipende dall’età, dal tipo di intervento, dalla costituzione fisica. Solitamente entro 1-2 settimane possono essere rimossi.

Dopo mastectomia mono o bilaterale è solitamente necessario indossare un reggiseno, che nei primi giorni postoperatori va concordato con il chirurgo senologo e plastico, perchè dipende dal tipo di ricostruzione. Di solito si tratta di un reggiseno comodo, in cotone, di tipo sportivo senza cuciture, in grado di avvolgere e dare sostegno senza costringere. Se è previsto un volume dopo intervento analogo a quello di partenza, il reggiseno può essere acquistato già in fase preoperatoria e portato in ospedale, concordando con il chirurgo la tipologia. Se invece il volume del seno cambierà nel postoperatorio, meglio seguire le indicazioni che verrano date dopo l’intervento chirurgico.
A distanza dall’intervento si può indossare qualunque tipo di reggiseno, mai con il ferretto o cuciture dure che premono sulla protesi. Se si fa attività fisica meglio un reggiseno contenitivo di tipo sportivo.

In generale nelle donne sane o anche con tumore se possibile in funzione delle caratteristiche clinico-anatomiche si cerca sempre di effettuare l’intervento di mastectomia più conservativa possibile, della pelle e del complesso areola/capezzolo. Oggi in casi selezionati è possibile una ricostruzione con protesi immediata in sede fisiologica pre-pettorale, ovvero davanti al muscolo pettorale sottocutanea, proprio nella posizione della ghiandola. Anche l’espansore in alcuni casi può essere posizionato in sede pre-pettorale preliminarmente alla protesi, se il rischio di necrosi cutanea è valutato elevato in caso di protesizzazione immediata. Oggi si parla di “tailored surgery”, ovvero chirurgia su misura, perchè le variabili cliniche, anatomiche e tecniche sono tante, quindi non c’è una tecnica migliore in assoluto nè quella adatta a tutte, ma le opzioni vanno selezionate caso per caso, come se fosse un abito su misura. E’ importante segnalare che più l’intervento è conservativo con ricostruzione definitiva e punta quindi al massimo risultato possibile in un tempo, maggiori sono le complicanze possibili, proprio perchè l’intervento diventa estremamente sofisticato. In alcuni casi, soprattutto sopo pregressa radioterapia per tumore, per simmetria l’intervento profilattico controlaterale è simile all’intervento oncologico (se ne discute comunque caso per caso); talvolta l’opzione ricostruttiva invece di protesi/espansori si avvale di lembi muscolari della donna stessa: si tratta di interventi più invasivi che tuttavia in alcuni casi possono essere scelti perchè le protesi non sono indicate. E’ molto importante sapere che l’intervento di mastectomia profilattica segue gli stessi criteri di quello oncologico, ovvero la ghiandola mammaria deve essere asportata in modo tecnicamente scrupoloso in modo che il residuo microscopico sia minimo: in questo modo il rischio residuo di sviluppare un tumore, che non è mai 0, è comunque estremamente infrequente (<< 4%), mentre in Lettertura scientifica è riportato che un residuo macroscopico, dato per esempio da un eccessivo spessore dei lembi, aumenta proporzionalmente il rischio residuo vanificando l’efficacia dell’intervento stesso.

NO: la mammografia è un Rx della ghiandola mammaria, in assenza della quale non ha alcuna funzione.

Risponde l’epidemiologo

Sul sito di aBRCAdabra verranno pubblicati gli studi che interessano tali patologie BRCA correlate e i centri oncologici in cui sono presenti gli studi

L’alimentazione di tipo mediterraneo è l’unica consigliata. Per la farmacoprevenzione si può utilizzare il tamoxifene anche se i dati nei portatori di mutazione sono scarsi. Dove presenti, è consigliabile partecipare a trials clinici. Gli interventi di riduzione del rischio sono la mastectomia bilaterale con conservazione della cute e se possibile dei capezzoli (nipple-skin sparing) e l’annessiectomia bilaterale profilattica

Il tumore della mammella, come tutte le neoplasie, ha una origine multifattoriale, ovvero è provocato da un concorso di fattori. Tra questi si distinguono fattori non modificabili come età, menarca precoce e menopausa tardiva, fattori ereditari e fattori modificabili. Questi comprendono sicuramente una alimentazione ricca di grassi  e l’eccesso di alcol.

Per l’ovaio, oltre all’età (50-69 anni), altri fattori di rischio includono l’obesità, la lunghezza del periodo ovulatorio, ossia un menarca precoce e/o una menopausa tardiva e il non aver avuto figli.

Un’attività fisica quotidiana (muoversi, fare le scale, camminare, ballare, non necessariamente palestra) associata ad una dieta equilibrata (ogni giorno frutta e verdura, pesce, limitare il consumo di carne, bere poco alcol, limitare il consumo di dolci) sarebbero sufficienti a limitare il rischio di tumore della mammella.

Nella genesi dei tumori, i fattori di rischio si moltiplicano. Questo vuol dire che se una donna ha una mutazione ed è obesa, il rischio diventa enormemente più alto poiché i fattori di rischio in ambito oncologico si moltiplicano, non si sommano.

Es: se bere alcol ha un rischio pari a 3 e mangiare carni rosse ha un rischio pari a 6, il rischio cumulativo diventa 18 (e non 9.

Uno stile di vita sano (vedi raccomandazioni OMS) influisce sulle donne sane e sulle donne mutate ma anche sulle donne che hanno già avuto una neoplasia riducendo il rischio di recidiva.

Stile di vita sano significa: non fumare, bere poco alcol, fare attività fisica e assumere alimentazione equilibrata.

Indicazioni OMS (Organizzazione Mondiale della Sanita’)

1)Non fumare

2)Evitare obesità

3)Fare ogni giorno attività fisica

4)Mangiare ogni giorno frutta e verdura

5)Non bere/ridurre alcolici

Non esporsi troppo al sole

7) Attenzione ai cancerogeni nei posti di lavoro 

8) Se un nodulo, un neo cambia forma: medico

9) Aderire agli SCREENING

10) Fare le VACCINAZIONI

L’alimentazione è una parte importante della nostra esistenza. Alimentarsi non vuol dire solo assumere sostanze nutrienti, ma per noi, soprattutto nella cultura italiana, significa convivialità e condivisone.

Questo non vuol dire che dobbiamo rinunciare ai piaceri della vita ma solo prestare attenzione a quello che mangiamo quando siamo a casa e quando siamo al ristorante.

Non esistono cibi buoni e cattivi ma ci sono cibi che potrebbero essere evitati o mangiati solo occasionalmente.

La Piramide Alimentare ci aiuta a ricordare cosa  mangiare.

La dieta mediterranea è una dieta ricca di vegetali e povera di carne. E’ un tipo di alimentazione che per molti anni ha protetto le regioni del sud Italia dall’insorgenza dei tumori.

La Nutri-ceutica è una branca della medicina che combina i nutrienti con un effetto farmacologico: ci sono sostanze che potrebbero agire come farmaci, perché ricchi di sostanze anti-ossidanti che prevengono l’insorgenza del tumore.

Negli ultimi anni l’approccio dell’oncologo medico e della medicina in genere è molto cambiato.

La cura del tumore non passa solo attraverso farmaci, ma significa prendere in carico la paziente nella sua interezza, tenendo conto anche delle sue necessità.

Nella maggior parte dei casi, i reparti di oncologia e le Breast Unit in particolare si sono attrezzati con un team che comprende oltre all’oncologo, il nutrizionista, lo psicologo, la consulenza genetica o ginecologica.

L’alimentazione è una parte importante sia durante la chemioterapia (non ci sono cibi buoni e cattivi: ogni singola donna potrà sperimentare quello che lei desidera o meno) Molto importante in questo caso il supporto delle Associazioni dei pazienti: pregresse esperienze possono aiutare la donna a superare questo momento.

Diverso il discorso per le donne che hanno già avuto un tumore per le quali esiste un rischio di recidiva. Non esiste la ricetta perfetta ma ancora di più in questo caso vale il principio di mangiare cibi sani (se possibili stagionali). Fare attività fisica e soprattutto coltivare relazioni sociali, stare insieme agli altri, condividere momenti di allegria e anche gli (inevitabili) momenti di tristezza.

 

C’era una volta un’Italia divisa in due con al nord alta incidenza dei tumori legata alla presenza di fattori inquinanti, alimentazione scorretta, vita frenetica e stressante e il sud con fattori protettivi legati soprattutto ad una sana alimentazione.

Purtroppo le cose stanno cambiando e l’ultima fotografia del rapporto PASSI mostra un’Italia dove le abitudini alimentari al sud stanno cambiando con una possibile inversione di tendenza anche dell’incidenza dei tumori (vedi le due diapositive successive).

 

 

 L’incidenza del tumore della mammella e delle neoplasie in generale è più elevata nelle regioni del nord rispetto al sud Italia dove, almeno in passato, valevano fattori protettivi in gran parte legate ad un corretto stile di vita (dieta mediterranea, attività fisica, aria non inquinata).

Per quanto riguarda età e genere esiste una forte differenza.

Negli uomini il tumore più frequente è la prostata che però interessa solo adulti ed anziani mentre nei giovani il tumore del testicolo è la neoplasia più frequente.

Nelle donne, la mammella è la neoplasia più frequente in tutte le fasce di età e nelle donne giovani, con meno di 50 anni, quasi una neoplasia su 2 è rappresenta dal tumore della mammella.

Di qui l’importanza della prevenzione primaria (attenzione allo stile di vita) e secondaria (partecipare agli screening oncologici).

 

 

Tra le donne con tumore della mammella circa 1 caso su 500 è BRCAa positivo.

Per le donne positive al BRCA1 la percentuale di rischio di tumore della mammella è del 56% e del tumore dell’ ovaio del 40%.

Per le donne portatrici della mutazione BRCA2 la percentuale di rischio per il tumore della mammella è DEL 45%  e del  tumore dell’ovaio del 20%.

Risponde l'oncologo

Questi farmaci hanno cambiato il paradigma del trattamento del tumore ovarico e consentito negli ultimi anni di fare grandi passi avanti in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia. Per quanto riguarda il guadagno di sopravvivenza, esso dipende dal trattamento e dal profilo molecolare del tumore. La terapia di mantenimento con questi farmaci a bersaglio molecolare è molto efficace in caso di mutazione BRCA e deficit genetici che alterano i meccanismi di riparo dei danni al DNA, i cosiddetti deficit di ricombinazione omologa HRD, dove ritarda la recidiva di oltre tre anni e prolungare la sopravvivenza globale, sia quando usati da soli sia in combinazione agli antiangiogenetici. La riduzione del tasso di mortalità per carcinoma ovarico degli ultimi 5 anni è verosimilmente attribuibile all’introduzione dei PARP-inibitori in prima linea.

Il parp è indicato come terapia di mantenimento, in prima linea nel tumore all’ovaio indipendentemente dal profilo molecolare, quindi sia in presenza che in assenza della mutazione BRCA e di HRD. Il trattamento della durata di 3 anni va iniziato entro 12 settimane dalla chemioterapia.

Nel tumore ovarico in stadio avanzato, il rischio di recidiva a 3 anni è, importante, intorno all’80%. Il parp inbitore, di cui disponiamo dei dati relativi alla sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) e l’anno prossimo avremo quelli relativi alla sopravvivenza globale (OS), è efficace nel ritardare la recidiva di malattia. Anche “solo” procrastinare la ricomparsa di malattia è molto importante perché quanto più in là nel tempo essa avviene tanto più possiamo biologicamente assimilarla ad una nuova malattia e utilizzare quindi le armi chirurgiche e mediche potenti di prima linea.

È una terapia orale da assumere a domicilio e la modulazione della dose sulla base della singola paziente è possibile fin dall’inizio. Negli anni, abbiamo imparato a gestire e prevenire le eventuali tossicità di natura ematologica (anemia, neutropenia e piastrinopenia) e quelle non ematologiche, come la stanchezza, la nausea e il mal di stomaco.

Non c’è alcuna “alternativa naturale” che dia i risultati emersi dagli studi e dalla pratica clinica di questi anni.

Le novità sono tantissime. Sperimentare nuovi farmaci come i parp inibitori di generazioni più moderne hanno il vantaggio di non impattare sulla tossicità ematologica. Questo è molto importante perché sappiamo che ci possono essere problematiche come le anemie e piastrinopenia che vanno un po’ a limitare l’efficacia di questi farmaci perché ci vediamo costretti ad abbassare i dosaggi. La ricerca va nella direzione di superare queste resistenze perchè questi farmaci dopo un po’ smettono di funzionare sviluppando dei cloni resistenti e allora bisogna pensare a come superare questa intelligenza della cellula neoplastica perché fa di tutto per sviare il trattamento, quindi conoscere queste resistenze significa conoscere i meccanismi nuovi per combatterla e far rifunzionare questi farmaci. Spesso questo si basa sull’utilizzo di altre molecole intelligenti come per esempio gli inibitori dei check point del cliclo cellulare: la cellula neoplastica prolifera sempre, se noi andiamo a bloccare questa proliferazione in vari punti della sua trasformazione cerchiamo di mandare questa cellula incontro alla morte e questi nuovi farmaci bloccano quindi il ciclo cellulare. Sono stati sperimentati sia da soli sia in associazione ai parp inibitori e sono all’interno di studi clinici e superano queste resistenze.
E’ normale che più farmaci vengono usati più tossicità c’è.
Da non dimenticare le combinazioni con l’ immunoterapiA: Parp + immunoterapia aiuta le pazienti con mutazioni genetiche a bloccare le cellule neoplastiche.
L’mmunoterapia funziona molto bene nella malattia triplo negativa, anche BRCA mutata. Anti rad 51 ha dato risultati in pazienti in fase1e l’immunoterapia nelle pazienti BRCA mutate a recettori positivi funziona molto bene in associazione alla chemioterapia.
Vedo quindi un panorama roseo e sicuramente il futuro ci darà tante belle sorprese e tante possibilità di allungare quel pezzettino di guarigione che non è una guarigione completa ma è una curabilità che anno dopo anno porta a un aumento della sopravvivenza.

In caso di tumore mammario metastatico triplo negativo si potrebbero utilizzare, dopo aver eseguito una precedente chemioterapia a base di platini e dopo eventuale immunoterapia, qualora sia presente l’espressione di PDL-1, due farmaci biologici, Olaparib e Talazoparib, che appartengono alla classe dei PARP inbitori. Tali farmaci, nelle pazienti portatrici di mutazione BRCA, favoriscono la morte della cellula neoplastica impedendo il riparo della doppia elica del DNA danneggiata. I risultati degli studi di fase III con tali farmaci hanno dimostrato, rispetto alla monochemioterapia, un vantaggio significativo di circa 3 mesi in progressione di malattia. Inoltre nella malattia metastatica a recettori ormonali positivi, dopo aver eseguito una precedente terapia con inibitori delle cicline, si può offrire il Talazoparib, che rispetto alla chemioterapia ha mostrato un vantaggio di 2.7 mesi in più alla progressione

Nei centri in cui sono presenti le breast unit dove vengono discussi in team i casi metastatici è possibile offrire dei trattamenti mirati e delle terapia alternative (p.es. radioterapia in pazienti oligometastatiche) condivise con tutti i professionisti del gruppo multidisciplinare. Inoltre questi centri hanno a diposizione studi clinici in cui possono essere offerti nuovi trattamenti all’interno di percorsi selezionati anche per target molecolare. Al di fuori di tali gruppi una paziente con tumore mammario corre il rischio di ricevere cure meno specifiche e innovative ed è dimostrato che la discussione multidisciplinare aumenta la sopravvivenza delle pazienti rispetto a scelte effettuate senza l’apporto di tutti gli specialisti e decise dal singolo professionista.

Nei centri in cui sono presenti le breast unit dove vengono discussi in team i casi metastatici è possibile offrire dei trattamenti mirati e delle terapia alternative (p.es. radioterapia in pazienti oligometastatiche) condivise con tutti i professionisti del gruppo multidisciplinare. Inoltre questi centri hanno a diposizione studi clinici in cui possono essere offerti nuovi trattamenti all’interno di percorsi selezionati anche per target molecolare. Al di fuori di tali gruppi una paziente con tumore mammario corre il rischio di ricevere cure meno specifiche e innovative ed è dimostrato che la discussione multidisciplinare aumenta la sopravvivenza delle pazienti rispetto a scelte effettuate senza l’apporto di tutti gli specialisti e decise dal singolo professionista.

La qualità della vita delle nostre pazienti è sempre più importante per noi oncologi e viene misurata attualmente con questionari che la paziente deve compilare in specifici momenti della giornata. I nuovi farmaci hanno il vantaggio di ridurre gli effetti collaterali e si sono dimostrati quindi meno impattanti sulla qualità delle vita, che sempre di più deve consentire di svolgere la proprie funzioni quotidiane senza impattare negativamente sulle capacità lavorative e sulla socialità.

Per i tumori a recettori ormonali positivi oltre alle terapia con farmaci ormonali (inibitori dell’aromatasi, fulvestrant) abbiamo gli inibitori delle cicline che possono dare risposte molto durature nel tempo. I nuovi farmaci sono rappresentati dalle molecole target rivolte nei confronti di mutazioni genetiche quale PI3KCA o ESR1. Infine, recentemente sono stati introdotti nuovi chemioterapici intelligenti che vengono portati, grazie a dei recettori cellulari, all’interno della cellula neoplastica senza danneggiare tutte le cellule dell’organismo. Tali farmaci chiamati ADC sono utilizzabili in tutti i tipi di tumori metastatici e hanno dato risultati molto promettenti rispetto alla vecchia chemioterapia producendo dei vantaggi significativi in termine di progressione della malattia di parecchi mesi.

Le terapie a bersaglio molecolare hanno effetti collaterali diversi rispetto alla chemioterapia. Innanzitutto non determinano alopecia mentre possono dare solo lieve nausea o vomito. Può essere presente anemia, piastrinopenia e leucopenia (PARP inibitori) che vanno monitorate fin dai primi cicli. Per quanto riguarda l’immunoterapia, gli effetti collaterali da attenzionare sono legati all’ipo/ipertiroidismo, diarrea o stati infiammatori più generalizzati.

Il carboplatino è un farmaco che danneggia il DNA e come detto, le pazienti con mutazione BRCA, hanno un difetto del riparo del DNA pertanto tendono a morire più facilmente rispetto alle cellule normali con i derivati del platino. Le pazienti che hanno tumori triplo negativi di dimensioni inferiori ai 2 cm possono evitare il trattamento con derivati del platino e fare chemioterapia con antracicline e taxani, poiché anche l’epirubicina e la ciclofosfamide sono farmaci che danneggiano il DNA

Come già anticipato il tumore della mammella metastatico non può essere guarito ma solo curato. Ciò significa che non otterremo mai la scomparsa della malattia ma avremo l’obeittivo di preservare una buona qualità di vita e stabilità della malattia.

Il tumore del pancreas viene considerato tra i tumori più aggressivi. È un tumore che lascia partire precocemente le cellule tumorali che possono raggiungere gli altri organi. In Italia sono circa 15.000 persone ogni anno che si ammalano dei tumori del pancreas. Recenti studi hanno associato alle mutazioni ereditarie BRAC1/2 la il rischio di sviluppare un tumore del  pancreas. I portatori di queste mutazioni, infatti, rappresentano una fascia della popolazione dei pazienti cui si possono prescrivere protocolli di cura mirati sia per le cure iniziali, la cosiddetta prima linea, sia per le terapie di mantenimento. Inoltre,  la presenza di una mutazione BRCA in un paziente può essere utilizzata come criterio di screening per i suoi familiari e individuare l’eventuale presenza si un aumentato rischio di ammalarsi anche di altri tumori: mammella, ovaio, prostata. Il 9% di tutti i pazienti affetti da tumore del pancreas di età inferiore ai 74 anni  sono portatori di una mutazione ereditaria BRCA . Ecco perché è importante  estendere il diritto al tes genetico su scala nazionale per tutti i pazienti under 74 con diagnosi del tumore del pancreas,  indipendentemente dallo stadio della malattia.

Fortunamente dopo i primi momenti di paura e difficoltà dovuti alla diagnosi, le pazienti imparano ad accettare la malattia e ad essere sempre più rassicurate dalla presenza dell’oncologo che le segue mensilmente. Il nostro obiettivo è quello di allungare i tempi delle visite ambulatoriali in modo da non far pesare troppo l’ospedalizzazione alle pazienti. Inoltre deve essere sempre disponibile uno psiconcologo che accompagni la paziente in questo percorso qualora lo necessiti.

Risponde l'urologo

Sono in aumento gli studi che dimostrano la presenza di una variante patogenetica nei geni BRCA1 e BRCA2 associata ad un aumento del rischio di sviluppare un tumore della prostata. Il test acquisisce il valore predittivo di risposta agli inibitori di PARP, offrendo al paziente la possibilità di accesso a terapie mirate, ed il valore sociale di aprire eventualmente alla consulenza genetica i consanguinei.

Ogni anno ci sono in Italia circa 36.000 nuovi casi. E’ un tumore molto frequente con un impatto sociale notevole. A cinque anni sono vivi oltre il 90% dei pazienti, un numero tendenzialmente in aumento grazie alle nuove terapie degli ultimi anni. In termini di cura sono opzioni indicate per la malattia localizzata radioterapia e terapia ormonale . E’ certamente una patologia che ha una sua complessità. Ricordiamo che in alcuni casi a bassa malignità è possibile anche sorvegliare, sono tumori maligni che si possono non trattare da subito ma monitorare a distanza con dei controlli periodici attraverso il dosaggio del PSA, una valutazione clinica urologica, la risonanza magnetica annuale e la biopsia che può essere utile ripetere.

Questo tipo di programma di sorveglianza attiva non è praticata da tutti gli urologi, e sarebbe bene che venga diffuso l’uso della sorveglianza attiva che vuol dire non trattare ma seguire delle forme a bassa malignità che possono restare come tali per tutta la vita del paziente. Qualora il tumore evolvesse con un peggioramento clinico, con un aumento del PSA e un peggioramento alla risonanza magnetica, il paziente viene poi sottoposto alla terapia chirurgica radioterapica e non viene omessa la terapia ma semplicemente sarà rimandata. Questo rappresenta un grande vantaggio per la qualità della vita, se consideriamo che oltre la metà di questi pazienti che entrano in programmi di sorveglianza attiva non saranno mai trattati.

Risponde il radiologo

Gli esami da effettuare sono mammografia, ecografia e risonanza magnetica.
È consigliato eseguire la mammografia dai 35 anni con cadenza annuale, completando la sorveglianza con l’ecografia in caso di seni densi.
L’ecografia viene consigliata da 25 anni.
La risonanza magnetica si inizia a eseguirla 10 anni prima del caso più giovane che si è ammalato in famiglia, oppure intorno ai 25 anni.
Anche questo esame viene eseguito con cadenza annuale e viene intercalata a sei mesi fino ai 35 anni con l’ecografia, dopodiché viene intercalata con la mammografia bilaterale.
Quindi, risonanza magnetica annuale, mammografia a sei mesi spesso completata con l’ecografia sono gli esami necessari per una sorveglianza attiva.
Per i maschi non esiste un protocollo definito, c’è chi sostiene di effettuare mammografia una volta all’anno in caso di ginecomastia, diversamente autopalpazione.

Risponde lo psiconcologo

In Italia abbiamo una situazione a grandissima macchia di leopardo.
Nei centri maggiori e nelle Breast Unit certificate è presente il sostegno psicologico rivolto in generale a tutti i pazienti oncologici.
Purtroppo ancora oggi non sono presenti dei percorsi strutturati specifici per le persone con tumore metastatico, che hanno bisogni diversi.
È fondamentale sottolineare anche l’ importanza del tipo di assistenza psicologica.
Ancora oggi la figura del dirigente psicologico non è strutturata in tutte le aziende sanitarie.
Troppo spesso le associazioni di volontariato, che fanno un lavoro enorme, si sobbarcano anche economicamente di sopperire a questa mancanza.
Qualcosa però sta iniziando a muoversi.